L' amuleto della libertà

 

Ancora strombazzando il SUV imboccò il viottolo con andatura più lenta, fermandosi proprio dinnanzi il professor Truman, uscito in quel momento nello spiazzo selciato che fronteggia il castello, il quale rimase praticamente di sasso, allorché dall’abitacolo vide uscirne un omone dalle dimensioni e fattezze impressionanti. Costui indossava una giacca in velluto di colore verde sopra una camicia bianca aperta sul collo, facendo sfoggio di un raffinato panama bianco portato sulla testa disinvoltamente. Sconcertato oltremodo, Truman fece caso che non appena l’omone era sceso dal SUV, il veicolo si era sollevato da terra perlomeno di venti centimetri. Con un’espressione di stupore permanente sul viso, stette lì per lì per accennare qualcosa, quando dalla portiera posteriore del taxi vide sbucare l’amico Donald, il quale con l’aria più disincantata del mondo gli si rivolse, dicendo: «Ehi, Frank, non dirmi che mi davate per disperso?!».

«Ehilà, professore, bentornato!» intonarono gli studenti all’ unisono non appena lo riconobbero. Donald alzò la testa e li vide festanti e allegri alle finestre in basso. Li salutò agitando la mano e quando scorse tra loro la fedele Evelyn, le regalò un plateale inchino, esortando tutti a sorridere.

«Oh, che magnifica accoglienza!» disse allorquando Truman gli fu accanto. «Tutto bene, Frank?» domandò prendendolo sottobraccio. «Vieni, voglio presentarti il mio amico Yakima, un autentico portento della natura!»

«Ah, non ho alcun dubbio!» rispose il collega con un’espressione stralunata. 

 Yakima, i cui movimenti lenti ma possenti erano seguiti con grande attenzione da tutti gli astanti, trasse dal portabagagli del SUV dei pesanti borsoni, alzandoli come fossero dei semplici fuscelli. Donald si occupò invece di saldare la corsa e salutare l’autista al quale, senza troppi preamboli, consigliò di cambiare l’auto, informandolo che un pieno di bioetanolo per un SUV equivale a sfamare un uomo per un anno intero. Costui, timoroso e ammutolito, prima di congedarsi, volle dare un’ultima occhiata al fenomenale personaggio asiatico che sino a pochi minuti prima era stato seduto dietro di lui, e senza aggiungere altro salì in macchina partendo con una certa sollecitudine per la capitale.

Presentato Yakima al collega, il redivivo Donald fece strada, avviandosi per primo verso l’entrata del maniero. Yakima si era infilato sottobraccio i bagagli, tenendo a tracolla dei pesanti borsoni. Nel superare il portale, il colosso cinese si era soffermato ad osservare con interesse il massiccio battiporta a testa di cavallo in ottone, che tanto avrebbe desiderato il compianto Luc Brady, in quanto era l’emblema di famiglia.

Oltrepassato il breve cortile, si accomodarono nella sala con il camino, dove vennero raggiunti immediatamente dai ragazzi e da Evelyn Martin, cui Donald dimostrò il suo affetto con un abbraccio sincero e affettuoso. E com’era prevedibile, Yakima si trovò subito accerchiato dall’entusiasta raggruppamento, la cui intenzione era sapere tutto su di lui cominciando col porgli una serie di domande una dietro l’altra. Ma lui era un tipo di poche parole e difficilmente avrebbe risposto ai loro quesiti. Entrambi i due colleghi fondatori sorrisero nel vedere l’interesse che stava suscitando e Frank chiese all’amico dove lo avesse incontrato. Donald, che in un cuor suo moriva dalla voglia di raccontare come lo aveva conosciuto, con un colpetto di tosse chiese l’attenzione, prendendo la parola.


«Vi dirò io qualcosa di lui» disse nel chiacchiericcio che andava smorzandosi, ben sapendo che i giovani ci vanno a nozze con le storie che escono fuori dalla normalità. Tutti si 
ammutolirono e ciascuno si accomodò come meglio poté.

«Ebbene, se non fosse stato per il qui presente Yakima, probabilmente ora non sarei qui a parlare con voi» soggiunse con voce pacata, posandogli la mano sulla possente spalla, seduto, non proprio comodamente, sulla poltrona accanto alla sua. «La prima volta che l’ho visto è accaduto in un pub malfamato, in una delle tante strade sterrate di Mombasa in Kenya, dove ero entrato per chiedere soltanto un’informazione. Era attorniato da un gruppo di cinesi malintenzionati coi quali stava discutendo piuttosto animatamente. Alcuni di loro però erano armati di pistola e coltello e stavano facendo di tutto per catturarlo, e siccome fuori in strada avevo la jeep in noleggio da appena dieci minuti, intuendo che quelli non avevano alcuna intenzione di desistere… emisi un fischio acuto e prolungato; lui si voltò e gli feci cenno di seguirmi. 

 

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