Le difficoltà dei popoli indigeni dell'Amazzonia alle prese con la pandemia
Un piccolo gruppo di giovani Waorani esce dalla minuscola foresta secondaria che confina con il loro insediamento precario alla periferia di Shell, una città militare che prende il nome dalla compagnia petrolifera nell'Amazzonia meridionale dell'Ecuador. Gli uomini portano un palo di legno di 6 metri sfoggiando un enorme sorriso. "Ora possiamo far sapere alla nostra gente che la peste sta arrivando e dovrebbero andare ad accamparsi nelle profondità della foresta", gridano da lontano, seguendo il classico grido Waorani: "queeeuuuuu, queeeuuuu, queeeuuuuu" (che significa , in sostanza, "siamo vivi, siamo tosti e siamo felici!"). Montata un'antenna sul palo, hanno collegato ad essa una vecchia radio sintonizzata sulla frequenza che raggiunge dozzine di comunità Waorani in un territorio di 2,5 milioni di acri di foresta pluviale. Erano le 16:00 del 17 marzo, appena due giorni dopo che il governo ecuadoriano aveva decretato un arresto naz