Una settimana in convento

Buongiorno e buona domenica a voi tutti. 

Il mio ritiro spirituale in convento è terminato e credo mi abbia fatto bene

Sono andato a rinchiudermi in un convento per una settimana.

Il monastero in cui mi trovo è stato eretto nel VI secolo da un gruppo di monaci benedettini. Si trova in una oasi di pace e serenità nel cuore della valle dell’Aniene. Un luogo lontano dai rumori quotidiani, dai ritmi folli di una vita che lascia sempre meno spazio al silenzio, alla meditazione, a se stessi. Solo le armonie antiche dei canti gregoriani o delle chiamate alla preghiera dei monaci interrompono la quiete e il relax raggiunto.

Il piacere d’immergersi nella tranquillità incontaminata, il gusto sopraffino delle tavole semplici imbandite nei refettori da genuini e saporiti piatti della tradizione locale, ispirano quell’ineffabile piacere dei sensi che diventa anche pace dello spirito.

Certo ci si deve adattare ad abitudini un po’ austere rispettando il silenzio. Vietati per questo telefoni e televisori, come gli schiamazzi in camera o nei corridoi. 

Per vivere appieno un ritiro spirituale, pur di breve durata, c’è da rispettare gli orari: alzarsi di buon’ora, adeguarsi alle ore dei pasti e rientrare la sera prima che il pesante portone venga chiuso (in genere verso le 22), evitando di rimanere fuori. 

Il mio bagaglio, a parte un ricambio di abiti  comprendeva solo due libri, un telefonino antidiluviano per comunicare coi familiari, un MP3 per ascoltare musica e una cuffia, oltre un quadernone per prendere appunti.

Una volta dentro le giornate le si vivono come meglio si crede. Ad esempio, la mia passeggiata quotidiana l'ho fatta lungo un viale alberato, nei pressi del giardino retrostante il Convento. Da li una sola volta ho raggiunto, attraverso un percorso accidentato, una grande rupe sulla destra a ridosso del fiume Aniene che conduce a un gruppo di grotte. In una di queste grotte sarebbe avvenuto l’episodio legato al tentato avvelenamento di San Benedetto, di cui riporto un estratto estrapolato da Internet. 

"Monaci dediti alla lussuria e all’ozio tentano di avvelenare San Benedetto da Norcia, il quale viene chiamato al convento per ripristinare l’ordine. Ma alcuni monaci vedendo «che sotto la sua direzione le cose illecite non erano assolutamente permesse e d’altra parte le inveterate abitudini non se la sentivano davvero di abbandonarle» (Gregorio Magno, Dialoghi, II, 3), decisero di sbarazzarsi di lui porgendogli una coppa di vino avvelenato. Quando il santo tracciò un Segno di Croce sopra la coppa nell’intento di benedirla, questa si infranse, «come se al posto di una benedizione vi fosse stata scagliata una pietra»."

Saggiamente per entrare in convento non mi è stato richiesto alcun attestato che stia a certificare l’autenticità della mia fede, ne tantomeno (per fortuna) il green pass… Chi mi ha accompagnato sin davanti il pesante portone, è stata una mia vecchia conoscenza, lontano parente del priore, a cui ho dovuto promettere di non pubblicizzare il luogo. In verità, per il momento, sono l’unico ospite. Ma credo che i monaci non siano molto propensi a concedere l’ospitalità.

Mi è stata messa a disposizione una stanza arredata spartanamente (con vista sul bosco), un letto, un comodino, un tavolino e un piccolo armadio di stampo antico.  

Quanto mi è costato tutto ciò? Assolutamente nulla, se non una mia offerta spontanea prima di lasciare il convento. Merito di Callisto, questo è il nome della mia conoscenza, che ha ritenuto sdebitarsi con me di un piccolo grande favore che gli feci 20 anni fa. 

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